7 December 2013

Il suono del pianoforte.

Il suono del pianoforte.


Il suono del pianoforte mi arriva da dietro la porta chiusa della grande sala Egalia.
Passeggio per i lunghi corridoi deserti, mentre loro sono tutti dentro, al buio, ad ascoltare quelle musiche armoniose. Mi sembra quasi di vegliare su di loro, e questa sensazione mi rigonfia il cuore, mi fa sentir indispensabile.
Quando arrivai, poche ore prima, nell’edificio moderno tutto cemento e vetrate non c’era nessuno. Per prima cosa un giro tutt’intorno, per assicurarmi che tutto fosse al proprio posto. Poi cercai la scatola dei fiammiferi svedesi nei cassetti, chiedendomi il motivo dei suoi imprevedibili spostamenti da un cassetto all’altro, di continuo. Accesi le candele.
Le candele donano un’atmosfera soffusa ai locali candidi, il loro riflesso sulle vetrate cattura lo sguardo e lo lascia vagare oltre il vetro stesso, lasciandolo infine posarsi sull’edificio dirimpetto, un palazzo art nouveau dalle faccie arricciate in smorfie scolpite nella pietra bianca.
Dopo qualche decina di minuti udii distintamente il rumore frusciante dell’ascensore; ne uscirono i primi ospiti che andarono tranquillamente a sedersi nel salottino, un bicchiere di vino bianco in mano, gettando un sorriso timido nella mia direzione, e proseguendo a parlare sottovoce, quasi gelosi della loro conversazione.
Ripenso a loro e mi chiedo dove siano seduti adesso. Immagino la loro espressione assorta, mentre il pianista si agita sulla tastiera. Immagino il movimento delle loro mani mentre applaudono, il sorriso appena accennato sulle loro labbra. Magari adesso, per via del poco vino, quel sorriso è un po’ più ampio, loro sono più rilassati e mi avrebbero salutato con minor timidezza.
All’improvviso mi accorgo della Luna, che lungo il suo percorso verso il tramonto è spuntata nella parte superiore della grossa finestra verso il fiume. La nebbia la fa apparire pallida ed infreddolita. Tutt’intorno un alone di luce come una corona.
Per la strada quasi nessuno. Butto un’occhiata all’orologio, e faccio a mente il calcolo di quanto manca alla fine del concerto, quanto impiegherò per riordinare la sala, mettermi cappotto, sciarpa, cappello e guanti, attivare tutti gli allarmi, raggiungere la mia macchina, parcheggiata giusto dietro al palazzo art nouveau, guidarla fino al garage ed entrare a casa.
Mi sembra ragionevolmente presto, probabilmente riuscirò anche a guardare un po’ di tv prima di cadere addormentata sul divano.
Mi avvio per i corridoi deserti ancora una volta, sento gli applausi finali esplodere all’unisono e mi avvicino alla porta della sala. Pochi istanti dopo gli ospiti inziano a fluire verso le scale, mi salutano e se ne vanno. Per un attimo intravedo nella colonna umana anche i due che per primi erano usciti dall’ascensore, uno di loro mi sorride fuggevolmente ed io auguro loro la buonanotte.
Riordino in fretta la sala, pochi bicchieri da portare al barista, qualche sedia fuori posto, un guanto caduto a terra e dimenticato, faccio di corsa le scale fino alla terrazza, attivo l’allarme, poi scendo fermandomi per un attimo ad ogni piano, controllo che tutto sia in ordine ed attivo uno dopo l’altro tutti gli allarmi.
Agito la mano per salutare il barista, lui mi sorride mentre svuota la cassa. Arrivata davanti all’ingresso principale inizio a coprirmi, prima la sciarpa morbida d’angora, poi il cappello di lana, fin sopra gli occhi. Allaccio la zip del cappotto, prendo le chiavi della macchina dal fondo della borsa e me le ficco in tasca. Per ultimi i guanti. 
Mentre cammino rapida verso la mia macchina penso che il concerto mi ha rilassata, seppur ascoltato da dietro la porta chiusa. Altre volte mi piace entrare e sedermi in fondo alla sala, ma stasera non mi andava. Stasera avevo voglia di starmene per conto mio, e farlo dietro una porta chiusa che nasconde trecento persone sconosciute è un sentimento strano, ma piacevole.
Tra i palazzi intravedo la Luna, che nel frattempo si è avvicinata un altro po’ al fiume. Buonanotte, Luna.
Quando infine mi siedo sul divano non faccio neanche in tempo a vedere l’ultima parte di un programma qualsiasi che mi sono già addormentata.

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